.:. I muli hanno due gambe di Antonio Sammarchi
Toni Berti è universalmente e a buon diritto
riconosciuto come un valoroso alpinista, uno studioso delle
Dolomiti e un uomo di un candore e una bontà
infinita. Ma solo quei pochissimi che lo conoscono molto da
vicino sanno di lui quali "cicchetti" rifila quando
qualcosa non va! Allora è come si rivestisse detta
sua gloriosa divisa d'alpino e sei costretto senza volere a
mettersi pressappoco sull'attenti e lui con la sua calma e
la sua bonomia ti fa davvero tremar le vene e i polsi. Ed
io ne so qualcosa perché di ramanzine, nessuno,
credo deve mai averne prese quante ne ho prese io.
Un giorno del '46 a Vicenza, alla fine di un succulento pranzetto e a conclusione di una lunga querela. mi disse, placido placido:
- Senti, Toni (perché siam Toni tutti due), visto che coi camini della Torre dei Sabbioni mi hai combinato soltanto una gran confusione, se vuoi riabilitarti non hai che un mezzo, risolvimi la Est o la Nord ché nessuno ancora ha messo le mani. Vedi di riuscirci perché altrimenti da me, mi dispiace, la pasta asciutta non la mangi più.
A dire il vero un ricatto simile da parte di Toni Berti non me l'aspettavo proprio. E poi, 'na parola quelle paretacce.
Comunque, appena tornato in Cadore e feci la mobilitazione dei "Ragni". Ma eran svagati e svogliati coi loro vent'anni dietro le incerte e ben più facili conquiste che offriva la villeggiatura. Duilio, il capo della banda, era in quel momento tanto pelandrone che non riuscii a convincerlo nemmeno a calci nel sedere. Finii col prenderne due pel collo, cioè Ricco Cortellazzo e Sandro Da Re e di rimbalzo e con una faccia bruttissima ricattai loro:,
- Da voi due storie non ne voglio - dissi - e o me la fate e subito parete sui Sabbioni, o io, vostro presidente, questa sera stessa con foglio di via obbligatorio spedisco a quel paese le smorfiose che avete per le mani.
A dire il vero non vi fu bisogno di provvedimenti così terribili, perché ì due ragazzi non piantarono grane: piantarono invece le morose per accontentare me, e soprattutto Berti, ché basta nominarlo, Toni Berti, e loro si elettrizzano.
La domenica successiva era notte ancora che partivamo da San Marco (c'era anche la Carmine, quella della Punta di Valbona); fu così che d'un passo allegro, quello delle grandi occasioni, e nonostante le impedimenta ciondolanti dentro e fuori del sacco, e la valle interminabile e... sostenuta di San Vito, s'arrivò in meno di tre ore alla base della Torre.
E qui capitò la prima grossa sorpresa.
Da un pezzo veramente me l'ero studiate e sbinocolate sia dalle ghiaie, sia dalla cengia del Bel Prà, le due pareti indenni ancora, ma sulla Nord non m'era voluto niente a convincermi ch'era possibile arrischiarcisi solo dopo la sistemazione di un ascensore quanto alta Est, c'erano a destra un diedro panciuto da tutte le parti, e a sinistra una voragine che potevasi anche definire alpinisticamente un camino. Concepire una salita di lì era quasi roba da incoscienti: ma d'altra parte voler scatenare dei matti senza camicia di forza su quella parete, diedro o camino, a scelta dei matti stessi, era l'unico filo conduttore ammissibile e forse probabile verso la vetta. Aveva fatto le mie solitarie contemplazioni in gran segreto: ma si sa, qualche indiscrezione e qualche confidenza doveva essermi scappata.
Tanto è vero che quella mattina, appena girato il lato Nord della Torre, sullo zoccolo alla base del diedro trovammo due Ragni fra i giovanissimi, Turchetto e Menini, belli e legati e ormai pronti a partire. Quelli, chissà mai come l'avevano che c'eravamo noi di mezzo, zitti zitti, se la volevan far loro la parete, di contrabbando, con un colpo grosso e inaspettato.
Rimandai la strapazzata ad un momento più adatto, e siccome giù non potevo tirarli, mi limitavo alle raccomandazioni di rito: fra cui quella di non fare economie idiote, perché i ragazzi vanno in parete preoccupati più di racimolare i chiodi che trovano, che non di metterne anche dove ce n'era occorrenza estrema. E spedii Ricco sullo zoccolo a dar loro una mano, nei caso ne avessero avuto bisogno. Infine io mi sdraiai sulle ghiaie con la Leica pronta cui avevo per l'occasione applicato un tele da dodici e mezzo, senza purtroppo ricordarmi che quando mi preparo coscienziosamente coi macinino nove volte su dieci succede il finimondo.
Turchetto partì in testa e filò piano ma bene una decina di metri nonostante la roccia appena corrugata, fin sotto una sporgenza ove avrebbe forse potuto assicurarsi. E si fermò in una posizione assurda, ché si teneva soltanto con la destra rovesciata sotto una mensoletta di pochi centimetri e con te gambe ad arco e i piedi piantati in attrito contro il muro liscio.
Con la sinistra incastrò un chiodo in una fessuretta, e cominciò a batterlo. Lo guardavo con parecchia trepidazione: se vola pensavo, quello come un baccalà.
Non finii di pensarlo che vidi staccarsi netta la mensola e il giovanotto rovesciarsi indietro, nel vuoto. Ebbi un tuffo al cuore.
Ma no, quello, istintivamente con un calcio contro la parete si rimise in posizione verticale il che non gl'impedì naturalmente di venir giù come un filo a piombo, dritto fino allo zoccolo, ove si fermò con un rovinio sordo e un tintinnio metallico di tutti gli aggeggi - chiodi e moschettoni - che aveva appesi addosso.
- Morto !… - pensai con' terrore - adesso stiamo freschi!
Neanche per sogno. Sento subito, infatti, Ricco che mi grida:
- Niente, vecio niente, s'è fatto niente!
E vedo Turchetto in piedi sullo zoccolo, tranquillo come fosse piovuto dal cielo col paracadute.
Bell'e visto che non importa andare e Lourdes a cercare dei miracolati: stavolta - mi dissi - il Padreterno s'è proprio trasferito sulle Dolomiti a metterci un invisibile cuscino di gommapiuma sotto il sedere di quel ragazzaccio.
E i tre scesero poco dopo a corda doppia segno che anche Turchetto era indiscutibilmente tutto d'un pezzo. Solo si lamentò che gli dolevano i piedi, sulla punta. Capii che qualcosa di rotto o di lussato doveva esserci, per cui occorreva filare subito! Finch'è calda la botta tiene, ma se ci si ferma sopra, dopo non ci si muove più.
Ma il ragazzo, e doveva averne abbastanza non se la sentì, soprattutto questione di fifa che gli veniva ora. Per cui bisognò farlo riposare.
Un paio d'ore dopo ci si mise in cammino, e il ragazzo apparentemente andava. Tanto ch'io lasciai provvisoriamente la comitiva per arrampicarmi con un traversone sotto il Bel Prà fin sulle estreme ghiaie del Corno del Doge, per certe fotografie alle Sorelle (roba per Berti, e bisognava proprio mandargliela, a scanso di una solenne scomunica).
Sceso all' "Acqua" trovo soltanto Carmine in angustie; Turchetto, mi dice, lo stanno portando perché non ce la fa a camminare.
- Corri a San Marco - le dico - e avverti la Guardie di venirci incontra a tutta birra.
La Guardie forestali di San Marco sono due vecchi artiglieri da montagna, due carri armati
Se quelli arrivan presto mezza sarebbe stata la fatica. Ci separammo: Carmine a gran velocità verso valle e io su di nuovo incontro ai compagni. In tre ch'eravamo rimasti (Menini, per Forcella Grande era sceso a Pieve a tranquillizzare le famiglie del ritardo), stabilimmo di portare l'infortunato venti minuti a testa. E cominciai (o meglio, seguitai) io.
Andavo abbastanza spedito. Pesava è vero, ma ero felice che non fosse successo niente. "Ti Portiamo dalla mamma, caro figliolo tutto intero, e i piedi guariranno presto, e saremo tutti contenti e pagherai da bere. Come avrei fatto a tornare a Pieve senza di te? La colpa l'avrebbero data a me, e invece io non son causa di niente. No no grazie a Dio, torniamo tutti assieme e faremo una bella bevuta come i veci alpini…"
Così parlando a me stesso i venti minuti passaron presto.
Poi toccò a Ricco e poi a Sandro (lo legammo giù per le ghiaie della busa del Corno, perché non franasse col dolce peso e si ammazzassero in due, e mi pareva quando sotto la naia si legava quello che portava il pezzo per trattenerlo sui sentieri ripidi dove neanche i muli ce la facevano.
E venne ancora il mio turno. Accidenti! Come pesava ora sulla schiena! Mentre portavo, pensavo, ma non più pensieri rosei come prima: Si figliolo, son contento che non ti sei fatto niente, ma pezzo di cretino chi te lo ha fatto fare di venire sulla Est della Torre dei Sabbioni? Non hai combinato nulla tu, non abbiamo combinato nulla noi, col bel risultato che chi ci rimette sono io che non c'entro per niente in questa faccenda, e a quarant'anni suonati mi tocca portare te che ne hai venti di meno. Una fatica simile non l'ho fatta mai, nemmeno quand'ero alpino venti anni fa... Proprio come un mulo del Regio Esercito: ma un mulo di nuovo genere, a due gambe, un mulo che, in nome della carità e della solidarietà umana e di tante altre belle cose, non può impuntarsi come fanno i muli veri, non può protestare nemmeno mugugnare e deve seguitare a camminare con questo bel tipo che marca visita a 2000 metri e si mette in portantina suIla schiena dei compagni.
Finalmente lo riprese Ricco. e gli toccò il tratto peggiore, la salita alla forcella dei Col Nero e poi Sandro e ancora io, giù per la faggeta.
Ma perché mai pesava sempre più insopportabilmente il mio carico- Era un tormento: lui sopra e sotto di me il sentiero della foresta, piccolino ripido, tutto puntuto di pietre e ingombro di frasche che sbattevano allegramente in faccia! Maledetto - dicevo ora mentalmente al ragazzo - si può sapere come si fa a venir giù da dieci metri, all'indietro, e aver la curiosa idea di non accopparsi? Un volo simile, e appena una scalfittura all'unghia di un piede! Se morivi invece, caro figliolo, tu eri caduto per la gloria dell'alpinismo. Noi ti facevamo un bel tumulo. una bella lapide, un bel discorso, un bel l'articolo sulle "Alpi Venete" e adesso almeno io non mi sorbivo questa sfacchinata che nemmeno a un mulo a quattro gambe la si la fare. So bene che certe cose non dovrei dirtele, ma io sto per scoppiare, io crepo tra poco e allora era meglio ti fossi deciso tu prima…
Guardai l'orologio: quindici minuti ancora perché scadesse il mio turno. Quanti pensieri neri passan per la mente in pochi istanti!
E quei due che devon venire su dall'Ansiei? Ma che razza d'alpinisti sono? Camminan sempre come littorine. Ma adesso m'accorgo! Solo quando c'è il comandante, per far bella figura! Ma forse dev'esser così per farlo crepare di batticuore. Dove sono adesso questi mascalzoni, perché vanno come lumache? Adesso li arrangio io: se non son qui fra cinque minuti faccio far loro fagotto e li trasferisco in Sicilia…
Ma no: eccoli da una svolta e vengon su macinando il sentiero come una divisione corazzata; e dietro, da brava, la ragazza. Li avrei abbracciati tutti tre. I due uomini mi guardano, e Toni (è già, il terzo Toni) mi dice:
- Grazie a Dio non è lei, signor capitano. Proprio lei, credevamo…
- Grazie a te Toni. Non te l'ha detto che non ero io?
- L'avrà detto, sicuro. ma io ero convinto che fosse proprio lei...
- Oh bella - dissi - e che ce l'ho proprio io la faccia più cretina?
- Non volevo dir questo, volevo...
- Insomma, quel che vuoi dire non m'importa. Credi che sia un divertimento stare a sentire le tue chiacchiere e lasciarmi questo sacco di patate sulla schiena? Se noti te lo prendi, e alla svelta, ti schiaffo dentro trent'anni di rigore
- Subito!
Toni Zalunardo accidenti, alto 1,90 e con due spalle che sembrano un armadio aperto, se lo fece volare sulla schiena come un fuscello.
- Possiamo andare?
- Non vorrai mica fare un comizio? Fila!
Lo guardavo ammirato scendere per le scorciatoie del sentiero.
- Toni, sai cosa mi sembri?
- Cosa Signor capitano - chiese senza voltarsi e senza fermarsi
- Ti ricordi quand'eri conducente? Non eri del terzo, tu?
- Sì, signor capitano.
- Ecco. hai proprio l'andatura dei muli sovraccarichi.
- Grazie, signor capitano, ma francamente anche lei, prima, camminava come un mulo sulle gambe di dietro.
Bel rispetto per i superiori. non c'è che dire. Ma ristabilii subito l'autorità e le distanze:
- Ricordati in ogni modo che i muli veri hanno quattro gambe, e i muli a due gambe non sono muli e fra questi la gerarchia esiste sempre. E, se non la pianti una buona volta con quel signor capitano ogni volta che apri il becco ti faccio delle note caratteristiche che ti mandano sulla sedia elettrica. Capito?
- Sissignore, signor capitano.
Lasciai perdere perché la sedia elettrica era proprio un'esagerazione.
Qualche ora dopo, ben rifocillati e riposati, sistemammo dietro, nella macchina, Turchetto. In cabina avevo Ricco a fianco. La lama dei fari sfrecciava dritta sulla strada bianca di San Marco: gli abeti a lato passavan veloci come fantasmi altissimi nella notte.
- Come va, Ricco?
- Go i ossi rotti, ma la va ben. E ti vecío?
- Benone, gli ossi rotti non contano fin che stanno assieme, e i miei ci son tutti ancora. Quel che conta è tornar su e presto.
- Naturalmente! - disse Ricco.
- Così mi piace. C'è di mezzo l'onore dei "Ragni" e la mia pastasciutta: credi niente, tu? Se non me la fate, la parete, chi ci torna a sbafo da Toni Berti?
- Sicuro che la faremo. vecio a qualunque costo!
- Piano, Ricco - dissi - a qualunque costo, vada ma senza voli, se prima non abbiamo il brevetto di pilota. Certi capitomboli caro mio, si fanno una volta sola, perché son come la Lotteria di Tripoli che a vincerla ci vuole un certo affare, proprio - come quello di Turchetto.
Traversavamo rapidamente Auronzo ormai addormentato.
- La faremo senza a voli - disse Ricco. - Tanto. se la fa franca chi vien giù, la fregatura tocca poi a chi sta a guardare e deve portarsi per 6 o 7 ore sulla schiena un sacco di stracci coi piedi in frantumi. Faccio gli scongiuri, ma se dovesse
ricapitarmi il primo che mi capita dal cielo senza paracadute lo seppellisco sul posto: anche se è tutto d'un pezzo! Fare il mulo come oggi, mai più.
- Avere almeno quattro gambe - dissi - con due sole, capirai la sfacchinata è doppia.
-Ma allora, se i muli son gli animali che portano e sopportano la maggior fatica, i muli veri non son loro, ma siamo noi.
- Vorresti dire, Ricco, -. esclamai ridendo che i più nobili muli hanno due gambe.
- Sì, vecio, mettiti il cuore in pace. I muli hanno proprio due gambe!
Un giorno del '46 a Vicenza, alla fine di un succulento pranzetto e a conclusione di una lunga querela. mi disse, placido placido:
- Senti, Toni (perché siam Toni tutti due), visto che coi camini della Torre dei Sabbioni mi hai combinato soltanto una gran confusione, se vuoi riabilitarti non hai che un mezzo, risolvimi la Est o la Nord ché nessuno ancora ha messo le mani. Vedi di riuscirci perché altrimenti da me, mi dispiace, la pasta asciutta non la mangi più.
A dire il vero un ricatto simile da parte di Toni Berti non me l'aspettavo proprio. E poi, 'na parola quelle paretacce.
Comunque, appena tornato in Cadore e feci la mobilitazione dei "Ragni". Ma eran svagati e svogliati coi loro vent'anni dietro le incerte e ben più facili conquiste che offriva la villeggiatura. Duilio, il capo della banda, era in quel momento tanto pelandrone che non riuscii a convincerlo nemmeno a calci nel sedere. Finii col prenderne due pel collo, cioè Ricco Cortellazzo e Sandro Da Re e di rimbalzo e con una faccia bruttissima ricattai loro:,
- Da voi due storie non ne voglio - dissi - e o me la fate e subito parete sui Sabbioni, o io, vostro presidente, questa sera stessa con foglio di via obbligatorio spedisco a quel paese le smorfiose che avete per le mani.
A dire il vero non vi fu bisogno di provvedimenti così terribili, perché ì due ragazzi non piantarono grane: piantarono invece le morose per accontentare me, e soprattutto Berti, ché basta nominarlo, Toni Berti, e loro si elettrizzano.
La domenica successiva era notte ancora che partivamo da San Marco (c'era anche la Carmine, quella della Punta di Valbona); fu così che d'un passo allegro, quello delle grandi occasioni, e nonostante le impedimenta ciondolanti dentro e fuori del sacco, e la valle interminabile e... sostenuta di San Vito, s'arrivò in meno di tre ore alla base della Torre.
E qui capitò la prima grossa sorpresa.
Da un pezzo veramente me l'ero studiate e sbinocolate sia dalle ghiaie, sia dalla cengia del Bel Prà, le due pareti indenni ancora, ma sulla Nord non m'era voluto niente a convincermi ch'era possibile arrischiarcisi solo dopo la sistemazione di un ascensore quanto alta Est, c'erano a destra un diedro panciuto da tutte le parti, e a sinistra una voragine che potevasi anche definire alpinisticamente un camino. Concepire una salita di lì era quasi roba da incoscienti: ma d'altra parte voler scatenare dei matti senza camicia di forza su quella parete, diedro o camino, a scelta dei matti stessi, era l'unico filo conduttore ammissibile e forse probabile verso la vetta. Aveva fatto le mie solitarie contemplazioni in gran segreto: ma si sa, qualche indiscrezione e qualche confidenza doveva essermi scappata.
Tanto è vero che quella mattina, appena girato il lato Nord della Torre, sullo zoccolo alla base del diedro trovammo due Ragni fra i giovanissimi, Turchetto e Menini, belli e legati e ormai pronti a partire. Quelli, chissà mai come l'avevano che c'eravamo noi di mezzo, zitti zitti, se la volevan far loro la parete, di contrabbando, con un colpo grosso e inaspettato.
Rimandai la strapazzata ad un momento più adatto, e siccome giù non potevo tirarli, mi limitavo alle raccomandazioni di rito: fra cui quella di non fare economie idiote, perché i ragazzi vanno in parete preoccupati più di racimolare i chiodi che trovano, che non di metterne anche dove ce n'era occorrenza estrema. E spedii Ricco sullo zoccolo a dar loro una mano, nei caso ne avessero avuto bisogno. Infine io mi sdraiai sulle ghiaie con la Leica pronta cui avevo per l'occasione applicato un tele da dodici e mezzo, senza purtroppo ricordarmi che quando mi preparo coscienziosamente coi macinino nove volte su dieci succede il finimondo.
Turchetto partì in testa e filò piano ma bene una decina di metri nonostante la roccia appena corrugata, fin sotto una sporgenza ove avrebbe forse potuto assicurarsi. E si fermò in una posizione assurda, ché si teneva soltanto con la destra rovesciata sotto una mensoletta di pochi centimetri e con te gambe ad arco e i piedi piantati in attrito contro il muro liscio.
Con la sinistra incastrò un chiodo in una fessuretta, e cominciò a batterlo. Lo guardavo con parecchia trepidazione: se vola pensavo, quello come un baccalà.
Non finii di pensarlo che vidi staccarsi netta la mensola e il giovanotto rovesciarsi indietro, nel vuoto. Ebbi un tuffo al cuore.
Ma no, quello, istintivamente con un calcio contro la parete si rimise in posizione verticale il che non gl'impedì naturalmente di venir giù come un filo a piombo, dritto fino allo zoccolo, ove si fermò con un rovinio sordo e un tintinnio metallico di tutti gli aggeggi - chiodi e moschettoni - che aveva appesi addosso.
- Morto !… - pensai con' terrore - adesso stiamo freschi!
Neanche per sogno. Sento subito, infatti, Ricco che mi grida:
- Niente, vecio niente, s'è fatto niente!
E vedo Turchetto in piedi sullo zoccolo, tranquillo come fosse piovuto dal cielo col paracadute.
Bell'e visto che non importa andare e Lourdes a cercare dei miracolati: stavolta - mi dissi - il Padreterno s'è proprio trasferito sulle Dolomiti a metterci un invisibile cuscino di gommapiuma sotto il sedere di quel ragazzaccio.
E i tre scesero poco dopo a corda doppia segno che anche Turchetto era indiscutibilmente tutto d'un pezzo. Solo si lamentò che gli dolevano i piedi, sulla punta. Capii che qualcosa di rotto o di lussato doveva esserci, per cui occorreva filare subito! Finch'è calda la botta tiene, ma se ci si ferma sopra, dopo non ci si muove più.
Ma il ragazzo, e doveva averne abbastanza non se la sentì, soprattutto questione di fifa che gli veniva ora. Per cui bisognò farlo riposare.
Un paio d'ore dopo ci si mise in cammino, e il ragazzo apparentemente andava. Tanto ch'io lasciai provvisoriamente la comitiva per arrampicarmi con un traversone sotto il Bel Prà fin sulle estreme ghiaie del Corno del Doge, per certe fotografie alle Sorelle (roba per Berti, e bisognava proprio mandargliela, a scanso di una solenne scomunica).
Sceso all' "Acqua" trovo soltanto Carmine in angustie; Turchetto, mi dice, lo stanno portando perché non ce la fa a camminare.
- Corri a San Marco - le dico - e avverti la Guardie di venirci incontra a tutta birra.
La Guardie forestali di San Marco sono due vecchi artiglieri da montagna, due carri armati
Se quelli arrivan presto mezza sarebbe stata la fatica. Ci separammo: Carmine a gran velocità verso valle e io su di nuovo incontro ai compagni. In tre ch'eravamo rimasti (Menini, per Forcella Grande era sceso a Pieve a tranquillizzare le famiglie del ritardo), stabilimmo di portare l'infortunato venti minuti a testa. E cominciai (o meglio, seguitai) io.
Andavo abbastanza spedito. Pesava è vero, ma ero felice che non fosse successo niente. "Ti Portiamo dalla mamma, caro figliolo tutto intero, e i piedi guariranno presto, e saremo tutti contenti e pagherai da bere. Come avrei fatto a tornare a Pieve senza di te? La colpa l'avrebbero data a me, e invece io non son causa di niente. No no grazie a Dio, torniamo tutti assieme e faremo una bella bevuta come i veci alpini…"
Così parlando a me stesso i venti minuti passaron presto.
Poi toccò a Ricco e poi a Sandro (lo legammo giù per le ghiaie della busa del Corno, perché non franasse col dolce peso e si ammazzassero in due, e mi pareva quando sotto la naia si legava quello che portava il pezzo per trattenerlo sui sentieri ripidi dove neanche i muli ce la facevano.
E venne ancora il mio turno. Accidenti! Come pesava ora sulla schiena! Mentre portavo, pensavo, ma non più pensieri rosei come prima: Si figliolo, son contento che non ti sei fatto niente, ma pezzo di cretino chi te lo ha fatto fare di venire sulla Est della Torre dei Sabbioni? Non hai combinato nulla tu, non abbiamo combinato nulla noi, col bel risultato che chi ci rimette sono io che non c'entro per niente in questa faccenda, e a quarant'anni suonati mi tocca portare te che ne hai venti di meno. Una fatica simile non l'ho fatta mai, nemmeno quand'ero alpino venti anni fa... Proprio come un mulo del Regio Esercito: ma un mulo di nuovo genere, a due gambe, un mulo che, in nome della carità e della solidarietà umana e di tante altre belle cose, non può impuntarsi come fanno i muli veri, non può protestare nemmeno mugugnare e deve seguitare a camminare con questo bel tipo che marca visita a 2000 metri e si mette in portantina suIla schiena dei compagni.
Finalmente lo riprese Ricco. e gli toccò il tratto peggiore, la salita alla forcella dei Col Nero e poi Sandro e ancora io, giù per la faggeta.
Ma perché mai pesava sempre più insopportabilmente il mio carico- Era un tormento: lui sopra e sotto di me il sentiero della foresta, piccolino ripido, tutto puntuto di pietre e ingombro di frasche che sbattevano allegramente in faccia! Maledetto - dicevo ora mentalmente al ragazzo - si può sapere come si fa a venir giù da dieci metri, all'indietro, e aver la curiosa idea di non accopparsi? Un volo simile, e appena una scalfittura all'unghia di un piede! Se morivi invece, caro figliolo, tu eri caduto per la gloria dell'alpinismo. Noi ti facevamo un bel tumulo. una bella lapide, un bel discorso, un bel l'articolo sulle "Alpi Venete" e adesso almeno io non mi sorbivo questa sfacchinata che nemmeno a un mulo a quattro gambe la si la fare. So bene che certe cose non dovrei dirtele, ma io sto per scoppiare, io crepo tra poco e allora era meglio ti fossi deciso tu prima…
Guardai l'orologio: quindici minuti ancora perché scadesse il mio turno. Quanti pensieri neri passan per la mente in pochi istanti!
E quei due che devon venire su dall'Ansiei? Ma che razza d'alpinisti sono? Camminan sempre come littorine. Ma adesso m'accorgo! Solo quando c'è il comandante, per far bella figura! Ma forse dev'esser così per farlo crepare di batticuore. Dove sono adesso questi mascalzoni, perché vanno come lumache? Adesso li arrangio io: se non son qui fra cinque minuti faccio far loro fagotto e li trasferisco in Sicilia…
Ma no: eccoli da una svolta e vengon su macinando il sentiero come una divisione corazzata; e dietro, da brava, la ragazza. Li avrei abbracciati tutti tre. I due uomini mi guardano, e Toni (è già, il terzo Toni) mi dice:
- Grazie a Dio non è lei, signor capitano. Proprio lei, credevamo…
- Grazie a te Toni. Non te l'ha detto che non ero io?
- L'avrà detto, sicuro. ma io ero convinto che fosse proprio lei...
- Oh bella - dissi - e che ce l'ho proprio io la faccia più cretina?
- Non volevo dir questo, volevo...
- Insomma, quel che vuoi dire non m'importa. Credi che sia un divertimento stare a sentire le tue chiacchiere e lasciarmi questo sacco di patate sulla schiena? Se noti te lo prendi, e alla svelta, ti schiaffo dentro trent'anni di rigore
- Subito!
Toni Zalunardo accidenti, alto 1,90 e con due spalle che sembrano un armadio aperto, se lo fece volare sulla schiena come un fuscello.
- Possiamo andare?
- Non vorrai mica fare un comizio? Fila!
Lo guardavo ammirato scendere per le scorciatoie del sentiero.
- Toni, sai cosa mi sembri?
- Cosa Signor capitano - chiese senza voltarsi e senza fermarsi
- Ti ricordi quand'eri conducente? Non eri del terzo, tu?
- Sì, signor capitano.
- Ecco. hai proprio l'andatura dei muli sovraccarichi.
- Grazie, signor capitano, ma francamente anche lei, prima, camminava come un mulo sulle gambe di dietro.
Bel rispetto per i superiori. non c'è che dire. Ma ristabilii subito l'autorità e le distanze:
- Ricordati in ogni modo che i muli veri hanno quattro gambe, e i muli a due gambe non sono muli e fra questi la gerarchia esiste sempre. E, se non la pianti una buona volta con quel signor capitano ogni volta che apri il becco ti faccio delle note caratteristiche che ti mandano sulla sedia elettrica. Capito?
- Sissignore, signor capitano.
Lasciai perdere perché la sedia elettrica era proprio un'esagerazione.
Qualche ora dopo, ben rifocillati e riposati, sistemammo dietro, nella macchina, Turchetto. In cabina avevo Ricco a fianco. La lama dei fari sfrecciava dritta sulla strada bianca di San Marco: gli abeti a lato passavan veloci come fantasmi altissimi nella notte.
- Come va, Ricco?
- Go i ossi rotti, ma la va ben. E ti vecío?
- Benone, gli ossi rotti non contano fin che stanno assieme, e i miei ci son tutti ancora. Quel che conta è tornar su e presto.
- Naturalmente! - disse Ricco.
- Così mi piace. C'è di mezzo l'onore dei "Ragni" e la mia pastasciutta: credi niente, tu? Se non me la fate, la parete, chi ci torna a sbafo da Toni Berti?
- Sicuro che la faremo. vecio a qualunque costo!
- Piano, Ricco - dissi - a qualunque costo, vada ma senza voli, se prima non abbiamo il brevetto di pilota. Certi capitomboli caro mio, si fanno una volta sola, perché son come la Lotteria di Tripoli che a vincerla ci vuole un certo affare, proprio - come quello di Turchetto.
Traversavamo rapidamente Auronzo ormai addormentato.
- La faremo senza a voli - disse Ricco. - Tanto. se la fa franca chi vien giù, la fregatura tocca poi a chi sta a guardare e deve portarsi per 6 o 7 ore sulla schiena un sacco di stracci coi piedi in frantumi. Faccio gli scongiuri, ma se dovesse
ricapitarmi il primo che mi capita dal cielo senza paracadute lo seppellisco sul posto: anche se è tutto d'un pezzo! Fare il mulo come oggi, mai più.
- Avere almeno quattro gambe - dissi - con due sole, capirai la sfacchinata è doppia.
-Ma allora, se i muli son gli animali che portano e sopportano la maggior fatica, i muli veri non son loro, ma siamo noi.
- Vorresti dire, Ricco, -. esclamai ridendo che i più nobili muli hanno due gambe.
- Sì, vecio, mettiti il cuore in pace. I muli hanno proprio due gambe!